Industria e caffè: un connubio aromatico di successo

L’industria del caffè in Italia offre una situazione positiva, con un mercato che registra oltre l’8% di crescita negli ultimi anni. Rosea anche la situazione packaging: circa il 40% degli imballaggi industriali di caffè sono infatti realizzati in carta e cartone, contro il 35% in plastica (che non sempre è la soluzione peggiore) e il 15% in alluminio.
Un mercato interessante quindi, ricettivo inoltre alla filiera digitale, all’integrazione di tecnologie mirate dalla progettazione al fine linea e all’uso della stampa 3D per velocizzare e customizzare i processi di confezionamento.
Potevamo non addentrarci in un tema dall’aroma tanto attraente?
Iniziamo con un po’ di storia → Ne sono passati di anni da quando nel 1683 i Turchi, ritirandosi dall’assedio di Vienna lasciarono sul campo cannoni, cammelli, cavalli e oro ma non solo: anche circa 500 sacchi di caffè. Evidentemente i viennesi ne hanno fatto buon uso, dato che la moda di bere il caffè si è diffusa subito in tutta Europa, senza venire più abbandonata. Oggi il caffè, la bevanda più consumata al mondo è diventata un’industria fiorente. Si parla di ben due miliardi e mezzo di tazzine bevute al giorno. I dati non mentono mai e vogliono oltre 100 milioni di sacchi prodotti all’anno, con nazioni come Brasile, Vietnam, Colombia, Indonesia, Etiopia ai vertici come tonnellaggio. La raffinazione però resta un settore tipicamente europeo, e pare ovvio che l’Italia tosti caffè più degli altri, con ben il 32%. Introiti da milioni di euro per una bevanda “eccitante” ma accettata dalla società, rito conviviale, pretesto per una pausa rapida dal lavoro. Il mercato del caffè, in crescita, suggerisce fra gli ultimi numeri disponibili (quelli dell’area studi Mediobanca, qui citati) un valore di 120 miliardi di dollari, in crescita fino a 2 punti percentuali di anno in anno. Di questo denaro, 5,8 miliardi vanno in Italia, che esporta più caffè di quanto ne beve ed è seconda soltanto alla Germania, come volume. Nel 2021 l’Italia è sesto esportatore mondiale con 1,8 miliardi di euro (6,1% del totale mondiale) e il primo per quantità in termini di caffè torrefatto.
Possiamo dire che di caffè si parla ovunque, non solo al momento di berlo o di sentirne l’inconfondibile aroma. Ma anche per quanto riguarda l’evoluzione all’interno della filiera produttiva: l’industria del caffè vede infatti un’iperbole crescente verso l’uso di tecnologie digitali e additive. La stampa 3D fa il suo ingresso nelle linee di produzione, posizionandosi come strumento a supporto dei macchinari di confezionamento, con la sua capacità di realizzare componenti sostitutivi personalizzati in tempi rapidi. E non solo la stampa 3D, ma anche tutti quei processi correlati alla digitalizzazione della filiera interessano sempre più l’industria del caffè, confermando questa branca di profumatissimo e gustoso mercato in una perfetta combinazione fra tradizione e innovazione, dentro e fuori dal Bel Paese.
C’è caffè e caffè, conoscerne le differenze aiuta a valorizzarne lo sviluppo sul piano dell’industria
Quale italiano non si è mai lamentato del caffè francese, in genere troppo lento, o di quello turco, comunque diverso e molto forte? Noi italiano amiamo spesso una tostatura piena. Non è raro vedere turisti nord europei sorseggiare caffè in un bar italiano, con disappunto, disabituati alla potenza. Su, proprio nel nord, vogliono invece la tostatura media e acida: non è un “espresso”, ma una bevanda lunga da consumare, seduti in locali dai colori tenui, mentre fuori nevica e durante l’inverno artico è già buio alle 2 del pomeriggio. Ancora una volta i dati vanno a supporto: le prime quattro nazioni che bevono più caffè sono, in ordine, Finlandia (12 chili all’anno pro capite), Norvegia (9,9), Islanda, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia. L’Italia è solo tredicesima. Certo, lì il tenore di vita è altissimo, ma una tazza di caffè raramente costa meno di 3 euro. Si tratta di un modo diverso di bere caffè: considerato come un vero e proprio rito sociale in Scandinavia, tanto da ritenere scortese bere il caffè da soli e singolare berlo solto al mattino, come primo atto della giornata. Pensare che solo in Italia si beva un buon caffè è ormai un luogo comune superato. Le grandi aziende che raffinano caffè, italiane o meno, sanno bene che il Nord Europa, oltre alle isole britanniche, è terra di conquista dal punto di vista delle vendite. In Svezia o Finlandia ormai viene considerato la bevanda nazionale, e nessuno considera un’eresia aromatizzarlo con latte, o cardamomo e altre spezie. Di fatto è necessario assaggiare il caffè senza pregiudizi, proprio come già avviene in molti Paesi e nella piena consapevolezza delle industrie locali.
Ma torniamo a Vienna, non a caso possiamo ritenerla una delle capitali del caffè nel mondo. Dopo che i turchi ritirandosi, lasciarono i sacchi del caffè, il rito del caffè si diffuse ovunque. Tra le classi abbienti diventò una moda. Era considerato una sorta di panacea universale: rafforzava il fegato, purificava lo stomaco e il sangue, teneva svegli ma conciliava il sonno, stimolava l’appetito ma poteva anche calmarlo. Ma, soprattutto, rappresentava un’ottima alternativa all’alcol, di cui si faceva largo consumo, e alle sue proprietà inebrianti. Una celebre pubblicità dell’epoca, per incentivare l’uso del caffè diceva, all’incirca: «con l’aiuto del caffè, l’umanità perduta nelle nebbie dell’alcol si risveglia alla ragione borghese, riacquistando tutta la sua proprietà lavorativa».
L’unica eccezione in questo quadro, con un comportamento tutto suo, è la Gran Bretagna. Qui, una volta compreso che il caffè non era una moda passeggera ma un rituale della quotidianità, si iniziarono a creare piantagioni autonome, evitando così l’importazione dall’Arabia. Piantagioni che, nelle colonie americane, esistono e sono fiorenti ancora oggi. E sarebbe andato tutto bene, se non fosse che proprio pochi decenni dopo (circa a metà del Diciottesimo secolo) avvenne a Londra il passaggio, repentino eterno ed immutabile, dalla cultura del caffè a quella del tè. Un cambiamento improvviso, radicale, che nessuno storico sa ancora spiegare. Una possibile motivazione potrebbe essere il fatto che il caffè fosse importato da mercanti indipendenti, mentre il tè arrivava dalla Compagnia delle Indie, controllata dalla Corona, che aveva dunque interesse al cambiamento. Un cambiamento che avvenne, con una rapidità ed una radicalità da lasciare ancora sbalorditi. Lì il caffè è stato riscoperto da poco, in tempi recenti, e servito magari con meno rigore rispetto ai caffè finlandesi.
Ma è solo questione di tempo, il caffè arriverà con il suo aroma eccellente anche qui.
Articolo a cura di D. Maniaci